NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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La “tavolozza di Sonig

Intervista con la violinista Tchakerian, protagonista dell’ultimo concerto delle Settimane Musicali all’Olimpico, “la musica spesso ci riconduce ai colori”

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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La “tavolozza di Sonig

Si è conclusa la XXI edizione della rassegna “Settimane musicali al Teatro Olimpico” con il concerto “Raccontare Vivaldi: Le quattro stagioni”, eseguito dall’Orchestra del Teatro Olimpico e diretto dalla violinista solista Sonig Tchakerian. Parte integrante dello spettacolo è stata la spiegazione introduttiva che ha permesso al pubblico di capire meglio le intenzioni del compositore: trattandosi di musica a programma, cioè descrittiva, è stato possibile comprendere come Vivaldi abbia tradotto in musica i rumori e le scene raccontate nel componimento. Le quattro stagioni sono tratte da dei sonetti e la musica segue i versi. “Le quattro stagioni” furono pubblicate come i primi 4 concerti di una raccolta di 12, sebbene fossero stati scritti precedentemente, sono stati scritti per archi e clavicembalo e sono costituiti da 3 movimenti ciascuno. Vivaldi, dopo la sua morte, fu progressivamente dimenticato e fu riscoperto e rivalutato solo negli anni ’30 del XX secolo, grazie a un lavoro di recupero di documenti molto difficoltoso compiuto da alcuni musicologi. Abbiamo incontrato Sonig Tchakerian per cercare di capire meglio la figura di Vivaldi e il suo componimento più celebre.  

La “tavolozza di Sonig (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Lei ha parlato di colore della Primavera. In musica vengono spesso usati dei termini tecnici che sono analoghi a quelli che vengono usati in pittura. Spesso gli artisti visivi cercano di tradurre la musica in immagini eppure sembra che sia più à facile per i musicisti tradurre le immagini in musica. Come mai questo fenomeno si presenta frequentemente?

«Facilmente si traduce la musica in immagine quando lei va all’opera e lì la cosa è molto immediata: musiche come quelle di questa sera sono a programma, per cui scritte con quella destinazione. Non sempre quando suoniamo abbiamo delle immagini davanti, a mio parere, io personalmente ho più davanti delle emozioni, delle sensazioni e degli stati d’animo. A volte capita, sì, di ricorrere a qualche immagine, ma sono più sensazioni interiori che colgo dai colori, più che visive».

La natura è il tema centrale in queste composizioni. Quando si pensa al tema pastorale non si può fare a meno di ricordare la VI sinfonia di Beethoven, in cui ci sono scene analoghe come per esempio il temporale. Vivaldi e Beethoven vissero in contesti storici completamente diversi. Quali sono le suggestioni che hanno spinto i due compositori a trattare lo stesso tema e che valore avevano queste tematiche nelle rispettive epoche? A quale simbologia erano prevalentemente legate?

«Penso che sia principalmente la necessità di tradurre in musica tutte le emozioni del contatto con la natura. Poi naturalmente siamo in periodi storici e culture diversi e mezzi diversi perché Vivaldi usa un’orchestra d’archi e Beethoven utilizza un’orchestra sinfonica, per cui ci sono anche degli effetti più ricchi, ma devo dire che non è che manchi qualcosa a Vivaldi, e la sua genialità è stata proprio quella di riuscire con poco ad essere estremamente efficace».

Vivaldi scrisse “Le quattro stagioni” dopo aver scritto moltissime opere liriche di cui una, tra l’altro debuttò a Vicenza (“Ottone in villa” ndr).

«Lui ne ha scritte tantissime. Tra l’altro Tartini diceva che era una cosa assurda l’opera lirica, per lui, perché la voce non era il suono del violino e lui era stato anche chiamato a suonare, forse anche come violino di spalla, in queste opere e si sempre rifiutato».

La “tavolozza di Sonig (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)È possibile che l’esperienza teatrale abbia portato Vivaldi verso una maggiore sensibilità al linguaggio dell’immagine da tradurre in musica?

«Si sì, sicuramente. Tra l’altro le stagioni si prestano benissimo anche per un’opera teatrale in scena, si potrebbe suonare ed avere degli attori o dei ballerini, qualsiasi cosa, rappresentarla. Quando la suoniamo pensiamo molto al teatro».

Queste musiche sono davvero famose e già il fatto che abbiano un titolo tanto esplicito aiuta l’ascoltatore ad intercettare più facilmente le intenzioni dell’autore. Nello spettacolo lei ha spiegato nei dettagli il rapporto tra musica, testo poetico di riferimento e immagini che vengono ricreate. Questo tipo di operazione di avvicinamento al pubblico è altrettanto possibile anche con partiture più astratte comunque più legate a concetti che a delle immagini?

«Sicuramente, tra l’altro lo abbiamo fatto con Bach e più astratto di Bach non esiste ed è assolutamente perfetto da raccontare e coinvolgere. Si può fare con qualsiasi tipo di repertorio».

Quest’anno la OTO ha affrontato più di una volta programmi legati al mondo dell’immagine e del cinema. Con lo spettacolo di questa sera dedicato a Vivaldi vediamo come già prima dell’avvento del cinema i compositori sentissero l’esigenza di descrivere immagini in movimento e scene, immagino che sia un po’ diverso dal musicare un libretto d’opera perché nei componimenti sinfonici e cameristici abbiamo una musica muta, cioè non cantata. La musica che parte da un’immagine acquisisce effettivamente una potenza maggiore o questa è semplicemente una sensazione percepita dal pubblico che vive con ulteriore coinvolgimento un tipo di musica particolarmente evocativa?

«Sicuramente il fatto di avere un’immagine, una rappresentazione, descrizione o spiegazione aiuta il pubblico a viverla più intensamente, soprattutto per chi riceve e ascolta credo sia importante. Magari poi il musicista fa già un lavoro suo talmente lungo e intenso che poi magari va certamente oltre, comunque aiuta sicuramente. La musica è un mezzo per condividere tragedie, drammi, amori e tutte le sensazioni della nostra vita, è un modo per stare insieme e condividere».

Vivaldi era contemporaneo di Bach e riconosciamo la musica di entrambi come barocca. La musica di Bach è molto più difficile e articolata, meno immediata. Addirittura si dice che alcun strutture di componimento di Bach siano talmente perfette che rispettano un rapporto di proporzione regolato dal numero di Fibonacci.

«È vero, ci sono un sacco di misteri anche matematici nella musica di Bach, enigmi: lui giocava, per lui era come un cruciverba. Sono persone davvero oltre».

La “tavolozza di Sonig (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Quali sono i modelli che ci permettono di riconoscere le loro musiche come appartenenti allo stesso genere e quali quelli che invece le differenziano?

«C’è questa libertà. Tra l’altro Bach ha utilizzato molte musiche di Vivaldi, le ha anche trascritte e lui l’amava molto e molte cose nello stile di Bach prendono dal Concerto Italiano e da questa libertà. Certamente Bach è molto più speculativo e concettuale, più ardito e complesso. Bach è il prima e il dopo, è la musica contemporanea e la musica prima di lui. Bach è tutto».

Sappiamo che Vivaldi, già in vita, ebbe un calo di popolarità dovuto a vicende legate al periodo storico in cui viveva e dal fatto che cominciava a prendere piede la Scuola Napoletana. Spessissimo avviene che alcuni autori dimenticati per alcuni secoli, poi ritornino trionfalmente in auge. Questo è avvenuto per Vivaldi che è stato riscoperto negli anni ‘30 tanto da ispirare anche compositori contemporanei come Karl Jenkins che ha scritto il componimento “Palladio”, di chiara ispirazione vivaldiana, usato nella pubblicità della De Beers negli anni ’90 o anche nel caso del progetto Rondò Veneziano. Che un compositore venga rivalutato in epoche storiche successive è determinato dal fatto che un componimento è più adatto ad essere colto in un’epoca in cui gli studiosi sono più consapevoli o sono più che altro fenomeni di sensibilizzazione del pubblico, per cui un prodotto che viene più soventemente proposto diventa più famoso e apprezzabile?

«Io credo che siano proprio riscoperte degli altri compositori. Mendelssohn ha riscoperto Bach: sono persone davvero illuminate che si rendono conto di cosa è andato perduto, lo rivalutano e lo riportano alla luce».

Ma come succede, poi, che il pubblico accolga così trionfalmente?

«Perché quando c’è qualcosa che ha una grande sostanza dentro, anche senza essere preparati, si coglie e si sente: sono le emozioni che passano».

Oggi quando si pensa a un’identificazione musicale relativa a Venezia, si pensa immediatamente e soltanto a Vivaldi. Come è avvenuto questo fenomeno?

«Lui ha fatto storia, lì, all’epoca: aveva la sua chiesa, la sua orchestra, le sue allieve, è stato un personaggio storico molto importante, era famosissimo in tutta Europa, e poi è talmente immediato… sono quelle cose che sono così e lo sono da sempre, non saprei dire perché no».

 

nr. 23 anno XVII del 16 giugno 2012

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