NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Non maltrattiamola è…
la serva padrona

Grande successo per l’opera in scena all’Olimpico. Dall’immagine della persona che si riscatta alla musica di Pergolesi grande esempio di scuola napoletana

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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La serva padrona

Lunedì 26, al Teatro Olimpico, è andata in scena "La serva padrona" di Giovanni Battista Pergolesi. Eseguita dall'Orchestra del Teatro Olimpico, diretta dal Mº Giancarlo De Lorenzo, interpretata da Daniela Mazzucato e da Eugenio Leggiadri-Gallani, diretti alla regia da Francesco Torrigiani, questa opera è un intermezzo buffo di un'altra opera seria, "Il prigionier superbo". Andò in scena per la prima volta al Teatro San Bartolomeo di Napoli, nel settembre del 1733 e riscosse immediatamente un successo strepitoso. La trama parla di Serpina, giovane serva di Uberto, padrone non più giovane, che riesce a farsi sposare dal nobile tramite degli escamotages. Ne abbiamo parlato con il direttore De Lorenzo e il regista Torrigiani.

 

"La serva padrona" è un'opera talmente famosa che il titolo è diventato un'espressione idiomatica. La protagonista dice delle cose legittime: «Perché devo essere maltrattata solo perché sono serva?».

Francesco Torrigiani: «È uno dei primi esempi di figura femminile che afferma il diritto a costruirsi un'esistenza, è una "parente stretta" di Mirandolina: stabilisce il tipo, la donna che lavorando e con la sua intelligenza riesce a riscattare la sua condizione. Questo è un tema molto settecentesco e altrettanto attuale. Ebbe per questo un successo strepitoso: da questa opera, che era intermezzo di un'altra opera a sé, è venuto fuori un intero genere, quello dell'opera buffa».

Giancarlo De Lorenzo: «Questo tema poi è rimasto attuale nel corso dei secoli, perché non dimentichiamoci che qualche decennio dopo c'è la Rivoluzione Francese ed è ancora attuale perché a quel punto non è più un discorso di uomo o donna ma del servo che si riscatta e diventa rappresentante di tutti i sottomessi, uomini o donne che siano».

Quali sono le caratteristiche musicali che hanno permesso che questo intermezzo rimanesse così famoso fino ai giorni nostri?

GC.D.L.: «Siamo davanti ad un esempio di Scuola Napoletana tra i più eclatanti: Pergolesi è allievo di Francesco Durante, che è stato l'insegnante dei più grandi contrappuntisti e che ha segnato un'epoca perché ha concluso il periodo barocco aprendo la strada, attraverso lo stile galante, a quello che sarà poi il classicismo. Pergolesi era l'allievo preferito di Durante. Specialmente nei due concertini che abbiamo eseguito, si sente molto l'influenza di Durante. Poi Pergolesi ha questa vena melodica vocale straordinaria: immaginiamo cosa avrebbe potuto ancora comporre».

Come mai questa tradizione volta alla melodia in quell'area geografica?

GC.D.L.: «È una predilezione al canto e alla melodia tipica proprio del Mediterraneo».

Quindi all'epoca c'era già questa tradizione?

GC.D.L.: «Sì, è sempre stato così».

Pergolesi è uno degli esponenti della Scuola Napoletana, che è durata molti secoli e che è stata la più influente del mondo.

GC.D.L.: «Sì, molti autori della Scuola Napoletana hanno girato il mondo, alcuni di loro sono riusciti ad arrivare alla corte degli zar di Russia e girare il mondo, all'epoca, non era certo facile».

F.T.: «"Qualcuno" da Salisburgo è venuto in Italia a imparare!».

Senza fare nomi!

GC.D.L.: «Ecco, senza fare nomi, ricordiamocelo questo!».

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