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Siamo nel febbraio del 1991. Pierangelo Fioretto è un avvocato, anzi è uno dei civilisti più affermati sulla piazza di Vicenza. Ai tempi dell'università ha anche firmato un numero della rivista "Il Bo" come direttore responsabile. Poi ha esercitato la professione con crescente successo, specializzandosi nel trattare questioni di diritto civile e in particolare di fallimenti. Compare in moltissime transazioni commerciali di alto livello e, già allora, poteva staccare parcelle a molti zeri. Studio legale in contra' Porti, casa in contra' Torretti, l'avvocato Pierangelo Fioretto è sposato con Mafalda Begnozzi. Si ricordano come suoi amici il giudice della sezione civile Giuseppe Bozza, oggi presidente del tribunale, l'allora presidente dell'ordine degli avvocati Gianfranco Rigon.
La mattina del 25 febbraio 1991 due uomini si aggirano in tribunale, lungo contra' Santa Corona e a molte delle persone che incontrano fanno sempre la stessa domanda: «Scusi, ha visto per caso l'avvocato Fioretto?». Sono giovani, capelli corti, vestiti in modo corretto. Molti di coloro che li incontrarono quella mattina riuscirono a ricordarne i tratti somatici, aiutando in seguito la polizia a tracciare degli identikit piuttosto precisi. Eppure pare che quella mattina nessuno sia stato in grado di aiutare i due giovani che cercavano l'avvocato. Il suo studio era a due passi dal tribunale, ma loro non ci andarono. Solo a metà degli anni Novanta le indagini ruotarono per alcuni mesi attorno alla figura di una donna misteriosa che avrebbe aspettato l'avvocato Pierangelo Fioretto in contra' Porti, vicino allo studio e che forse lo avrebbe incontrato pochi minuti prima dell'esecuzione. Ma anche in questo caso l'inchiesta è approdata ad un vicolo cieco.
Si arriva così alla sera del 25 febbraio 1991. Pierangelo Fioretto esce dallo studio intorno alle 20,30, sale sulla sua auto, una Alfa Romeo comprata da poco e si avvia verso casa, in contra' Torretti. Qui le ricostruzioni sono almeno in parte divergenti. La più nota racconta più o meno questo: l'avvocato arriva nel cortile della sua abitazione, scende dall'auto e si trova di fronte i due giovani che lo hanno ripetutamente cercato durante il giorno in tribunale. I due forse hanno un complice in attesa. Fra il professionista e gli sconosciuti nasce una alterco, una discussione. I due estraggono le pistole e fanno fuoco. Pierangelo Fioretto viene colpito da almeno quattro proiettili: uno al torace, due alla schiena. Il quarto è il colpo di grazia, sparato da distanza ravvicinata poco sopra l'orecchio destro. Forse, dopo essere stato colpito una prima volta, l'avvocato ha cercato di fuggire. È stato bloccato dai colpi alla schiena. Dal poggiolo dell'abitazione la moglie dell'avvocato Mafalda Begnozzi, avrebbe quindi assistito all'esecuzione del marito. Si sarebbe precipitata al piano terra, uscendo nel cortile. I killer la stavano aspettando e hanno nuovamente sparato diversi colpi, uccidendola. Anche per lei l'ultimo proiettile è quello esploso da vicino, alla nuca.
Una ricostruzione alternativa, che era circolata nei giorni immediatamente successivi al delitto, prevede al contrario che i killer abbiano suonato il campanello dell'abitazione Fioretto, che Mafalda Begnozzi sia scesa per parlare con questi inaspettati ospiti e che nel frattempo Pierangelo Fioretto sia arrivato nel cortile con la sua vettura. Certo, prima di dare fuoco alle polveri delle pistole gli assassini hanno parlato, ma è anche certo che erano arrivati per uccidere. In seguito la polizia trovò una pistola abbandonata nella fuga: una 7,65 con il silenziatore avvitato sulla canna. E accanto ai cadaveri vennero trovati guanti verdi di lattice, del tipo utilizzato dai chirurghi.
In quegli anni muovevo i primi passi come cronista. Di giorno lavoravo a Tva Notizie e di notte, per pagarmi gli studi, andavo al Giornale di Vicenza a correggere le bozze. Quella è stata la mia migliore palestra. Leggevo gli articoli di Gaetano Fiorentino, quelli di Gianni Nizzero e imparavo da loro come andava fatto il mestiere. Quella notte, quel 25 febbraio 1991, ero nell'ufficio dei correttori con Franco Zorzetto, il capo dell'ufficio, grande collezionista e maestro di giornalismo a sua volta. Venimmo a sapere che qualcosa di grave era successo, c'era quella strana aria elettrica che si respira nei giornali quando sta arrivando la notizia. Ottenni il permesso di andarmene prima, avvisai la redazione della televisione e riuscimmo a girare le immagini del servizio che è allegato a questa pagina. Si tratta del servizio scritto il 25 febbraio del 2001, a dieci anni dal delitto, ma le immagini sono di quella notte maledetta. Faceva un freddo assoluto. Eravamo tutti fermi davanti all'ingresso su via Torretti, ma non si riusciva a capire cosa fosse accaduto, dal momento che la scena del crimine era sul retro del palazzo, per noi inaccessibile. È stato il collega Gianluca Cremonese, quella notte, ad avere l'intuizione giusta: passò per l'ingresso di uno dei condomini affiancati, non presidiato dalla polizia, arrivò alla porta sul retro ed ebbe accesso al cortile. In quegli anni le telecamere professionali erano molto diverse dalle piccole e comode digitali di oggi. Erano oggetti pesanti, ingombranti e soprattutto necessitavano di moltissima luce per poter funzionare. Gianluca non ebbe dubbi, accese il faro e schiacciò il pulsante "rec" sulla sua telecamera, illuminando a giorno il cortile. I poliziotti che stavano facendo i rilievi, anziché cacciarlo come temevo, lo chiamarono. «Illumina qui - gli dicevano - dai illumina, dacci una mano». In quella notte tutti ci rendevamo conto della tragedia che era accaduta, della gravità di un duplice efferato omicidio di quel genere in una città che fino a quel giorno non aveva conosciuto nulla del genere. Perché fin da subito era apparso chiaro che si trattava di una esecuzione di stile, almeno, mafioso.