NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Le opere più significative di Goffredo Parise riproposte dalla casa editrice Adelphi

Dopo “Il prete bello” oggi viene presentato “Il padrone” che, pubblicato nel 1964, vinse il premio Viareggio l’anno dopo e che, secondo l’autore, ritorna alla poetica de “Il ragazzo morto e le comete”

di Gianni Giolo
giolo.giovanni@tiscali.it

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Le opere più significative di Goffredo Parise ripr

Adelphi sta riproponendo un nucleo essenziale di opere di Goffredo Parise, a partire dai “Sillabari” (2004, terza edizione 2009), “Lontano” (2009), “Il prete bello” (2010), cui ora fa seguito “Il padrone” (2011). Nell’autunno del 1964, dopo cinque anni di silenzio, Parise pone fine a un nuovo romanzo, “Il padrone”, che gli appare simile a una storia «minuziosa e crudele». In una intervista, rilasciata la sera stessa dell’assegnazione del premio Viareggio 1965 a “Il padrone”, Parise dichiarava che “Il ragazzo morto e le comete” gli appariva come il vero prologo di questo romanzo per contenuto e stile: “Anche in quello il clima rarefatto, la totale assenza di psicologia (ma non di sentimenti) dei personaggi”. Si può ora condividere questo giudizio? In un certo senso Parise aveva ragione perché i due libri sono la storia di una dolorosa educazione alla realtà che rifiutando lo psicologismo naturalista conferiva uno spessore emblematico ai protagLe opere più significative di Goffredo Parise ripr (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)onisti. Quella dichiarazione sgombrava subito il campo dall’equivoco di confondere il romanzo con  il genere allora di moda della “letteratura aziendale” e svelava gli inquietanti intenti diagnostici dell’autore. La sua visione del mondo trova nell’azienda solo il luogo in cui la lotta e le metamorfosi dell’uomo sono messe in risalto e collegate a moderne strutture sociali. “Il padrone” è una parabola che vuole mostrare come la civiltà industriale e l’ideologia tecnologica abbiano cambiato l’uomo solo attraverso il suo ambiente  e come la società di massa, il consumismo abbiano reso più dura e allo stesso tempo più subdola la legge del più forte, della selezione naturale.  Allo stesso tempo questa crudele battaglia per la sopravvivenza non si avvale più della forza bruta, ma del condizionamento psicologico, una forma di spaventosa violenza che permea il mondo moderno. Il giovane protagonista lascia la sonnolenta provincia  e va in una grande città a trovare lavoro. Un palazzo di vetro che, con la sua cuspide aguzza, esercita una irresistibile forza di attrazione. I personaggi, come dicevamo, sono emblematici e impersonano stati d’animo: il malinconico, nevrotico dottor Max, il padrone, diviso fra la passione per la filosofia e l’ansia di scalzare il potere del padre, il vecchio Saturno; Uraza, sua madre e principale alleata, che nell’enorme massa di capelli soffici e fiammeggianti ha un potentissimo strumento sensorio; la fidanzata Minnie, che accompagna ogni gesto con un’onomatopea da fumetto; il fedele autista-infermiere-spia Lotar, incarnazione della forza bruta e della più ottusa fedeltà; e la folla di collaboratori e dipendenti, dall’immenso e infido dottor Bombolo agli inermi Pluto e Pippo. A poco a poco la fabbrica si trasforma in una immane trappola mortuaria: far parte del suo organismo significa infatti essere proprietà del dottor Max, e dunque – prigionieri delle involuzioni e delle allegorie del suo pensiero – rimuginare senza tregua su cambiamenti di umore e repentine simpatie e antipatie, sopravvivere a misteriose e inestirpabili malattie, diventare insomma una cosa. Segnata dalla poesia della «crudeltà espressiva» e del «taglio chirurgico» (Montale), questo libro  ferocemente sarcastico suscita un’angoscia antica e profonda: se infatti non c’è realtà senza padroni e senza gerarchia, la sola libertà, come ha dichiarato Parise in un’intervista, «coincide con la morte».


Lontano

“Lontano” (2009) è il nome della rubrica che racchiude gli articoli scritti da Parise nel Corriere della Sera fra l’aprile del 1982 e il marzo del 1983. Sono testi folgoranti, inattesi lampi di verità, improvvisi scatti di memoria, irripetibili manifestazioni dell’arte della vita offerti ai  lettori del Le opere più significative di Goffredo Parise ripr (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)quotidiano milanese.  Il villaggio dei solenni Meo, nel Laos, pervaso dall’odore  «di immensa stravaganza» dell’oppio, dove tutto sembra sospeso; il lampo d’oro, destinato a durare per l’eternità, che gli occhi e i capelli di Ignazio, l’amico adolescente, mandano un giorno su un campo da tennis; la tigre avvolta dalla nebbia e come «distesa su piume o aria» che appare d’improvviso, alla luce dei fari, su una strada della Malesia; il pavillon fuori moda dove – fra spumeggianti bicchieri di Itala Pilsen, giovani donne fasciate di seta e ufficiali tedeschi col monocolo – pochi minuti di oscuramento e il fischio degli Stuka possono condensare la guerra; l’«arruffio di gesti tutti precisamente sintonici» che nel ricordo si rivelerà essere l’amore; lo sguardo appannato, «come una pellicola selvatica poggiata sulla cornea», di una delle più famose spie, Kim Philby, colto in un albergo di Mosca. Il succo dei brevi racconti è che  quello che si impara – sembra dirci Parise – lo si impara di colpo, da un momento all’altro, ma per lo più nel ricordo, quando ormai è troppo tardi. E il mistero lo si può forse risolvere, ma una sola volta e per qualche secondo – e come «azzeccarlo, nella instancabile roulette»?


Il prete bello

“Il prete bello” (2010). Negli anni che vanno dalla “Grande vacanza” al “Prete bello”, Parise, grazie all’aiuto di Neri Pozza, Prezzolini e anche del padre giornalista, collabora a riviste e giornali. Sue cose, tra l’elzeviro e il racconto, escono su “Alto Adige”, “Il giornale di Vicenza”, “Il Corriere di Trieste”, “L’illustrazione italiana” e “Il borghese”. Su quest’ultimo sono pubblicate forse le più interessanti, anche se non sempre rispondono a quell’invito che lo stesso Parise aveva rivolto sin dal 1951 sulle colonne di uLe opere più significative di Goffredo Parise ripr (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)n giornale ”a certi scrittori”: “un po’ meno cocktail, un po’ meno pigrizia dei sentimenti”. L’occhiello sotto cui uscivano i pezzi sul quindicinale di Longanesi era “Costumi di provincia” ed è significativo per determinare la nascita della nuova stagione narrativa dello scrittore. Sono veri e propri studi d’ambiente e di caratteri, preparatori non solo del “Prete bello”, ma anche del “Fidanzamento” e di “Atti impuri”, i tre romanzi che alcuni critici raccolgono sotto il titolo di “trilogia vicentina”. Sono storie che mettono in risalto il contrastato connubio fra sacro e profano. Su questo tema nasce la tipica storia di provincia de “Il prete bello", uscito nel 1954, che riscuoterà un clamoroso successo. E rileggendolo oggi, quando ormai le etichette impugnate per celebrarlo o denigrarlo sono alle nostre spalle, ci accorgiamo che il suo segreto sta tutto in quella genesi: nella festosa eccentricità dei personaggi che popolano un labirintico e pruriginoso caseggiato nella Vicenza del 1940, e di colui che saprà stregarli tutti: don Gastone, il «prete bello». Personaggi quali la ricca signorina Immacolata, con i suoi strani cappellini a piume e l’occhialino d’oro cesellato; le Walenska, madre e figlia, che si scaldano ingrandendo con una enorme lente l’unico raggio di sole che al tramonto penetra nella loro stanza; il cav. Esposito, che tiene sotto chiave le cinque figlie concupiscenti; Fedora, la cui rigogliosa natura si spande dagli occhi e da tutto il corpo, quasi che «dai pori uscisse un polline dolciastro»; e la cenciosa banda di ragazzi truffaldini e sentimentali che nei vicoli e sotto i portici cercano ogni giorno di sopravvivere trasformandosi in ladri, ruffiani e mendicanti – in particolare Sergio, il narratore, e il suo amico Cena. In tutti loro, nelle vene e nel sangue, l’atletico, elegante, vanesio don Gastone si infiltra come una passione oscura, violenta ma capace di dare improvvisamente vita  a «una sostanza poetica che ribolle e rifiuta di assestarsi entro schemi definiti» (Eugenio Montale).

 

nr. 26 anno XVI del 9 luglio 2011

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