NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

Al ridotto Occidente Solitario del regista che invase Londra come Shakespeare

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

facebookStampa la pagina invia la pagina

Al ridotto Occidente Solitario del regista che inv

Sui siti di alcuni teatri c’è un disclaimer relativo al linguaggio duro utilizzato nel testo anche perché la tematica stessa è abbastanza dura: voi state facendo anche degli incontri col pubblico? Che tipo di riscontro avete nelle varie parti d’Italia, anche tra Nord e Sud?

C.S.: «Sì, facciamo incontri col pubblico. Onestamente non faccio mai differenza tra pubblico del Nord o del Sud. Ci è successo una volta, in una città del Sud, che a una battuta che può essere dissacrante, perché apostrofo mio fratello che entra con una statuina e in maniera piuttosto volgare, c’è stato un urlo dalla platea».

Però parlando di periferie e violenza, in Italia ci sono varie realtà in cui la violenza vien declinata in modi diversi: al Sud magari c’è più una violenza verso l’ambiente, o quella organizzata, qui al Nord è più una cosa familiare.

Al ridotto Occidente Solitario del regista che inv (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)F.N.: «Più che altro ci sono attitudini al gusto: è divertente notare l’umorismo, la percezione a delle battute, in alcuni posti ridono di più per alcune cose. Magari ci sono battute più sfacciate e viene giù il teatro altre volte invece ridono su quelle più piccole e sottili che non vengono mai colte».

C.S.: «È un testo molto versatile, non è la commedia con la battuta che il pubblico ride, vi fermate eccetera, non è scritta in questo modo».

Secondo voi è più facile trattare certi argomenti oggi o magari alcuni anni fa, in cui c’era un’effettiva spinta di protesta, di sensibilizzazione e di socializzazione?

F.N.: «Mi sembra che ci sia una bella spinta di protesta pure oggi».

C.S.: «C’è meno speranza, forse, oggi».

F.N.: «Perché non è storicizzato, pensi al ‘68 e a fenomeni che stanno nei libri, ma tra 30 anni questo momento ci sarà per crisi economica, incazzatura della gente che è scesa in piazza negli ultimi anni e che ha manifestato e protestato».

Voi fate anche molto cinema. Quali sono gli aspetti creativi che riuscite ad esprimere con il teatro e quali quelli che vi permette il cinema?

C.S.: «Sicuramente il teatro è una creazione in divenire, sempre, hai la possibilità di rifarti se una sera senti che è andata male, puoi trasformare quello che fai, lo spettacolo dalla prima replica all’ultima è diverso, è una prova ogni sera, mentre il cinema, secondo me, tecnicamente è molto più difficile perché fai dei salti dall’ ultima scena a quella di centro, però anche quello ha il suo fascino. Io adoro stare sul set però il teatro ti dà un’energia, cambia il pubblico, devi essere sempre attivo per capire dove li stai portando e se ti stanno seguendo in questo viaggio».

Al ridotto Occidente Solitario del regista che inv (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)F.N.: «Sì, sono molto d’accordo, il teatro ti obbliga a una duttilità e a un’improvvisazione continue: a seconda della platea, delle dimensioni, della situazione, il fatto che questa sera la scena sia montata ridotta quindi manca un mobile dove io ho degli oggetti, il modo di recitare cambia perché il pubblico ce l’hai molto vicino; in altri teatri più grandi, quasi di lirica, devi farti sentire rimanendo fedele al personaggio, che comunque sono personaggi molto “sporchi”, devi sempre rimanere molto acceso, molto attivo. Nel cinema ci sono aspetti più difficili: devi stare più attento a non annoiarti, quando ci sono i momenti di attesa e stand-by, che poi quando sei chiamato a lavorare devi dare subito il 100%».

Che differenza trovate tra il pubblico della fiction, del cinema e del teatro, anche nell’approccio sia alla star che alla proposta artistica?

C.S.: «Sicuramente c’è il pubblico delle fiction che viene perché hanno visto lui nei “R.I.S.”, a me in quella su Rino Gaetano, Massimo De Santis in “Squadra antimafia” e sicuramente rimangono stupiti perché un pubblico abituato alla tv, se gli sottoponi un testo del genere rimane un po’ shockato; però mi piace questo perché gli fai conoscere qualcosa di diverso e fai capire che anche il teatro non è una cosa noiosa, perché c’è questo luogo comune che il teatro è noioso, non si capisce perché. Il pubblico del cinema è avvezzo a vedere tanti tipi di film diversi, non solo quello che gli danno in tv e sono più contenti».

Forse il pubblico del cinema è un po’ più simile a quello del teatro.

C.S.: «Sì, esatto, ci dicono: “Non ci avete delusi”, oppure ci fanno i complimenti per la scelta del testo soprattutto, perché è un testo che ti tiene sempre viva l’attenzione e ti provoca reazione o di amore o di fastidio, ma non puoi annoiarti».

Claudio, tu sei anche doppiatore (è Bruce Wayne nell’ultimo “Batman” ndr): dai corpo a un personaggio che è già interpretato, nel doppiaggio hai un doppio vincolo.

C.S.: «Infatti io penso che il doppiaggio sia più difficile del teatro e del cinema! Ovviamente hai un lavoro di preparazione come per il film o lo spettacolo e a volte senti che trovi l’impulso giusto per una battuta e magari sei fuori sincrono con l’attore: ricordo una scena difficilissima mentre doppiavo Munich di Spielberg, in cui lui va all’ambasciata e lo tirano via mentre lui urla, allora è entrato in sala uno che mi tirava via e non sono più riuscito a leggere perché mi sono allontano dal microfono e quindi non andava bene. È bellissimo perché devi entrare e ricreare come se tu stessi girando quella scena e se hai tempo per farlo, come in film di questo genere, è molto interessante e molto bello come lavoro̱».

www.artisceniche.com


nr. 02 anno XIX del 19 gennaio 2013

« ritorna

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar