NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Cosa mangeremo nel futuro?

La domanda diventa un corto teatrale che ha il cibo al centro della scena, e parla dei reality sulla gastronomia come di una ossessione

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Cosa mangeremo nel futuro?

Questa settimana al Teatro Astra di Vicenza sono andati in scena due spettacoli brevi incentrati sul rapporto tra società cibo e materie prime. il primo è stato “Infactory” dell’esordiente Matteo Latino, vincitore del premio Scenario 2011 in cui racconta la vita di un vitello destinato al macello. La seconda pièce, un vero e proprio corto teatrale, surreale e alienante, incentrato sul cibo prodotto seriale e differenziato, ha divertito davvero molto il pubblico e si chiama “Special Price” ed è il frutto di una collaborazione tra La piccionaia-i Carrara e Babilonia Teatri. Uno dei due protagonisti è Carlo Presotto direttore artistico dimissionario de La Piccionaia- i Carrara, attore e ricercatore.

 

Cosa mangeremo nel futuro? (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Special Price, è uno sketch lungo, un corto di teatro: cibo da single, formaggio senza latte, pane senza frumento.

Carlo Presotto: «Il testo è di Enrico Castellani e Valeria Raimondi di Babilonia Teatri e nasce da un progetto del Napoli Teatro Festival che prevedeva di porre delle domande sul futuro del mondo a degli scienziati di livello internazionale, poi a delle compagnie di tutta Italia veniva commissionata la realizzazione di un corto su quello che rispondevano gli scienziati. La domanda posta a Paul Rorberts, divulgatore statunitense che si occupa di cibo e di problemi, ha scritto un bellissimo libro, “La fine del cibo”, era: che cosa mangeremo in futuro? Lui ha dato una risposta molto articolata dicendo che il problema di cosa mangeremo è che ci stiamo distanziando e stiamo creando sempre più la rimozione di un tema molto importante: secondo lui la rimozione dell’argomento “cibo” è legata alla rimozione del nostro rapporto, della dimensione organica, della vita, del tempo, del corpo e dello spazio».

Perché dello spazio?

«Luoghi che abitiamo: lui disegna i non luoghi, i non cibi, i non tempi. I non luoghi sono i luoghi di attraversamento, centri commerciali, aeroporti, autostrade e vie di comunicazione, sono uguali in tutto il mondo e sospendono la dimensione della mente locale, dell’ abitare un luogo, i cibi tendono a sradicarsi da un gusto locale».

Cosa mangeremo nel futuro? (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Mangi il cous cous in Islanda.

«Oppure, appunto, le catene non solo di fast food, ma anche di cibi confezionati, sapori che fino alla generazione dei nostri nonni sarebbero stati impraticabili: io ricordo i primi viaggi in Inghilterra o negli Stati Uniti, l’odore del cibo differente, adesso è molto più sfumata questa cosa, ci siamo abituati anche a una globalizzazione del gusto che vuol dire, probabilmente, anche fuggire un po’ da noi stessi. All’interno di questo, il gioco di Castellani e Raimondi è stato quello di partire ridendo col pubblico per poi via via scoprire che questa risata che viene dalla pancia è una forma di difesa e di reazione a un comportamento che noi riconosciamo concretamente nei nostri gesti quotidiani e di cui vediamo un’assurdità messa in scena. Assurdità che poi non è giudicante perché se vedi il bello di questo pezzo è che non dà morali, non dice “giusto” o “sbagliato”, mette le cose in scena e poi ognuno si ritrova e si relaziona con questo».

Poi avete sul palco delle pile di piatti: li pulite, li usate, ci giocate.

«Sono tutti vuoti e anche il frigo è vuoto».

Esattamente, in pratica il cibo non esiste.

«La domanda è : che cosa mangeremo in futuro? Alla fine l’unica cosa alimentare che c’è in scena siamo noi, l’unica cosa che racconta concretamente, tutto il resto è una mancanza, un vuoto, una rimozione».

Sembra uno spettacolo per gente ossessionata dal cibo.

«Guardiamo la televisione, i programmi sulla cucina…».

È un’invasione.

«Ci sarà qualche motivo: sento che questa ossessione ha a che fare con noi e con le ossessioni e insieme a delle rimozioni, allora rimuoviamo la nascita, la morte, la malattia, tendiamo a metterle fuori dal nostro orizzonte e lo riempiamo con l’esibizione del mangiare e del cucinare».

 

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