NR. 41 anno XXVIII DEL 25 NOVEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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A Valencia per vivere las fallas

La festa del carnevale è un tuffo nel passato senza confronti in Spagna

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VALENCIA

Fatta eccezione per la costa andalusa, è sicuramente Valencia la meta più ragionevole per chi cerca clima mite, buone serate a tavola e gente francamente conciliante e amichevole come raramente accade di trovarne. Diciamola tutta: pensate che per contestare l'arbitro gli gridano "burro, burro" come massima contumelia. Si traduce: asino. Detto di una piazza calcistica che soffre da sempre la supremazia asfissiante della coppia Barcellona/Real e che, nonostante campioni autentici come Walter Villa, Mata, Pablo Hernandez e altri ancora, non riesce a ridurre di un filo il gap che la storia le ha affibbiato in eredità e probabilmente a futura memoria, bene, pare davvero una misura rispettabile.

I miliardi non si trovano per strada e per avvicinare le altre due società al Valencia ne occorrerebbero tantissimi tenuto conto che galleggia costantemente tra il terzo e il quarto posto della Liga. Sempre in perfetta linea per andare a cercare fortuna in Europa, ma mai neppure prossima ad agganciare quel che di più piacerebbe: portare allo stadio Mestalla il titolo, almeno un'altra volta. Tutto questo non tanto per parlare di calcio, che pure è nella nostra vita quotidiana, ci piaccia o no, ma per spiegare quel che ora arriva in successione continuando il discorso.

Ai valenciani si può dire praticamente qualsiasi cosa perché in genere se la ridono felici; ma se vi preme tornare a casa senza bernoccoli, molto più salutare non tirare in ballo i catalani e Barcellona; non è animosità di campanile, è pura contestazione di tutto ciò che avvicina Comunidad Valenciana e Catalunya. A cominciare dalla lingua, che è poi la ragione principale del non amarsi reciprocamente.

Uno si domanda anche perché, ma la risposta sta proprio nella prossimità straordinaria, nella incredibile somiglianza, tra i due vocabolari. Tanta affinità di segni, che quel che si rischia, la sovrapposizione, non piace a nessuno.

Come dire che preso atto silenziosamente di quanto siano simili, o ci si distingue orgogliosamente e senza possibilità di equivoci a termini di regionalismo statale istituzionalmente riconosciuto, oppure va a finire che qualcuno si chiederà perché mai due città e due comunità così geograficamente vicine e così culturalmente e linguisticamente affini siano state separatamente inserite nell'elenco delle 17 autonomie locali dalla primissima operazione costituzionale di Juan Carlos nel restaurare il trono. Nel 1976 il giovanissimo sovrano (34 anni) si rese subito conto che per girare davvero pagina sul quasi quarantennio della dittatura asfissiante di Francisco Franco, per rendere un servizio incancellabile a questo splendido paese, la prima azione degna, di vero rispetto per la gente, era proprio quella di mandare in pensione anche il ricordo della totale mancanza di libertà e di totale soppressione dei diritti provocate dai militari al governo dal 1936; cosa si doveva fare?
Riconoscere le autonomie, che tra l'altro in stragrande maggioranza corrispondevano e corrispondono ancora ad una inequivocabile realtà. Paesi Baschi, Galizia, Asturie e Cantabria, Catalunya e Comunidad Valenciana, non sono un'invenzione separatista, ma un puntello storicamente sostenuto da fatti solidissimi: quando si stava aprendo faticosamente, ma molto arrogantemente la strada del neo dogma castigliano (Toledo e Madrid) di un paese unificato sotto un'unica Corona, tutti gli altri vivevano una esistenza propria, con diplomazia, imposte doganali, assetti istituzionali in genere intonati al democratico moderato variamente frenato, e in ogni caso una altrettanto propria evoluzione linguistica e culturale. Per dire che il giovane sovrano, con in mano la patata bollente di un paese in fortissimo fermento e da rilanciare verso la platea europea ebbe l'intelligenza e la sensibilità di comunicare alla sua gente un messaggio cifrato che poteva essere -come fu- capito all'istante e all'istante messo a frutto.

Oggi anche i separatisti, anche i meno inclini a riconoscere un reale diritto all'esistenza dello Stato monolitico che di fatto Juan Carlos ha messo in coda a quello costruito sulla violenza pura dal generale Franco, tutti o quasi ammettono di non nutrire sentimenti anti monarchici. E detto da gente che viene da tanta storia non è davvero una cosuccia insignificante.

Per ritornare a Valencia, in questi giorni sta vivendo uno dei momenti chiave della sua tradizione: las Fallas. Carnevale si fa dappertutto con diversa data. Qui è come a Povolaro (Vicenza) dove dei carri mascherati si ricordano solo a primavera e ci vanno giù di brutto.

Anche a Valencia. La festa delle Fallas è un tuffo verso il passato senza confronti in Spagna. Forse soltanto san Fermin a Pamplona contiene tanto e lascia tanto segno. La Fiesta di Valencia è fatta soprattutto di un concorso a cui partecipano gruppi e associazioni presentando gigantesche figure di cartone a colori vivacissimi che tutte richiamano all'attualità: non vale neppure la pena di spiegare chi sono i bersagli preferiti degli artisti/artigiani in concorso. Sono soprattutto i politici ma non solo spagnoli: da Putin a Zapatero, da Berlusconi a Obama, da Sarkozy ai deliri degli integralismi islamici, ci sono praticamente tutti. E tutti a sfilare per transitare nella strettoia della commissione giudicante che alla fine dei 4 giorni di celebrazioni e follie varie emetterà la sua sentenza.

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