NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il “ratto” diventa italiano e sale all’Olimpico

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Il “ratto” diventa italiano e sale all’Olimpico

I costumi sono tutti di carta, ma sembrano strutturati a livello sartoriale.

Marco Nateri: «Si perché anche se si sfrutta un altro materiale il concetto rimane lo stesso. Abbiamo trovato degli accorgimenti che permettono di utilizzare i costumi come se fossero di tessuto, e abbiamo chiesto maggior accortezza ai solisti. La carta è stata usata come è nella sua natura con dei rinforzi di spago e pelle, come si fa con i busti, mantenendo però la struttura elastica della carta».

Sono bianchi, serve per sfruttare la luce?

M.N.: «No: abbiamo ripreso l’idea del Palladio, delle statue bianche, per cui per non inserire altri colori in questo spazio straordinario. È fondamentale, essendo uno dei teatri più importanti al mondo: è molto difficile, in uno spazio scenico con dietro le scene di Scamozzi, intervenire con una scenografia o dei costumi che aggrediscono lo spazio; è come quando si va in un museo: si deve entrare in punta di piedi con grande silenzio e rispettare il luogo».

AntonioPetris (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Petris, Lei ha diretto opere liriche in tutto il mondo: quali sono i paesi dove il pubblico apprezza maggiormente allestimenti più moderni e quali quelli dove invece si preferisce una scelta più tradizionale?

Antonio Petris: «Sicuramente la Germania apprezza allestimenti più moderni. Io non sono assolutamente d’accordo con la modernità, ma sono d’accordo con l’attualità, che sono due cose totalmente differenti. Attualizzare vuol dire non relegare l’opera ad un’operazione da museo, per ciò fare in modo che l’opera sopravviva con i sentimenti, che sono trasversali ai tempi. Poi possiamo metterci un costume moderno, perché no, ma possiamo metterci anche un costume dell’epoca, l’importante è che il sentimento del personaggio, ciò che dice, ci parli oggi, e non ci parli di cose del passato, quelle le possiamo leggere nella letteratura».

M° Rigon, in questa versione in italiano la parte di prosa, prevista nella versione in tedesco, è più un recitativo accompagnato.

GB.R.: «Il recitativo si divide in secco e accompagnato, a seconda degli strumenti che lo accompagnano. Il recitativo accompagnato è una forma libera in cui suona anche l’orchestra, il cantante canta e l’orchestra lo accompagna, però non c’è una forma strofica, la forma 4+4 battute, una quadratura del ritmo, c’è una libertà: il cantante spesso si ferma, si appoggia su una parola, l’orchestra commenta. Nel recitativo secco è la stessa cosa, il cantante canta, ma è accompagnato semplicemente dal basso continuo, in questo caso dal fortepiano; a volte può essere dal clavicembalo o clavicembalo e violoncello, a seconda delle scelte e dell’ambito stilistico. Siccome quest’opera si colloca in un ambito stilistico fine ‘700 primi ‘800, io ho scelto di introdurre un fortepiano, che è lo strumento usato all’epoca».

Come mai fu fatta questa modifica? Da dove sono state prese le parti di musica, visto che questa è una versione postuma?

GB.R.: «Si, è stata fatta nel 1838 e Mozart è morto nel 1791. Lichtenthal le ha prese da altre opere di Mozart, per esempio c’è un significativo intervento della “Marcia alla Turca” oppure c’è inserimento di un terzetto e quartetto vocali che Mozart scrisse per un altro, come si usava all’epoca. C’è un inserimento e adattamento strumentale di due movimenti di sonate per violino e pianoforte sempre di Mozart. Alla fine c’è un duetto del “Don Giovanni”, ma dal sestetto finale che all’epoca non veniva eseguito, nel 1830: si sa che il “Don Giovanni” ha virato verso l’opera romantica, inizialmente nasce come dramma giocoso e quindi c’è la parte drammatica e quella comica e come ogni dramma giocoso finisce con la morale del sestetto. Nell’800 si usava far finire il “Don Giovanni” prima del sestetto: quando Don Giovanni sprofonda nell’inferno, finisce l’opera, che è un finale molto scuro e romantico. Quindi la musica del sestetto, probabilmente, a Milano non era stata sentita e allora Lichtenthal prende il pezzettino di musica del sestetto, il duetto degli amanti, che lì sono Don Ottavio e Donna Anna, qui sono Belmonte e Costanza e li inserisce in uno dei duetti finali dell’opera».

Domenica c’è il debutto, è la prima volta che viene eseguita questa versione, in assoluto?

GB.R.: «Si perché non è mai stata eseguita in realtà: Lichtenthal riesce a far eseguire alla Scala Don Giovanni, “La Clemenza di Tito” e “Il flauto magico”, con “Il ratto del Serraglio” non riesce. C’è una sua testimonianza diretta, un articolo che lui pubblicò in Germania nel 8140, per cui due anni dopo la data che lui ha apposto al manoscritto di questa versione, in cui lui dice che ha provato per tre volte, con Karl Mozart, figlio di Mozart che abitava egli stesso a Milano, ma la cosa non era mai andata a buon fine. Non si sa perché. È rimasto il manoscritto, conservato a Milano, noi lo abbiamo preso, abbiamo ricavato le parti d’orchestra e le parti dei cantanti e questa è la prima esecuzione assoluta».

Con la rassegna delle “Settimane musicali” avete fatto moltissima ricerca di testi inediti o fuori repertorio e avete ripreso versioni rare o poco eseguite. Immagino che questa ricerca così impegnativa porti molto prestigio anche alla nostra Orchestra del Teatro Olimpico, sia in Italia che all’estero e che porti Vicenza nel mondo anche tramite l’orchestra e la rassegna.

GB.R.: «Speriamo di si! È recente l’attribuzione del Premio Abbiati alle Settimane Musicali: andrò proprio il 25 di maggio a Bergamo a ritirarlo. È il premio più importante di tutti i critici musicali italiani, lo hanno vinto Pollini, Accardo, La Scala, il Teatro San Carlo, Giulini. È la prima volta che viene assegnato a Vicenza».

 

nr. 19 anno XVII del 19 maggio 2012

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