NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Caravaggio, la tela e la musica jazz

Grande successo per la pièce sul famoso pittore, portato in scena da Alessio Boni. La lettura è stata accompagnata da una colonna sonora di ispirazione jazz, ne esce uno spettacolo intenso e curato

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Caravaggio- Nero d’avorio

Pubblico entusiasta ieri sera al Castello degli Ezzelini di Bassano del Grappa dove, nell’ambito del cartellone di Operaestate, è andata in scena la pièce in forma di lettura “Caravaggio- Nero d’avorio”, interpretata da Alessio Boni con l’accompagnamento delle musiche di Fabrizio Sirotti, eseguite dal vivo dallo stesso autore e dal batterista Marco Frattini. Lo spettacolo, estremamente intenso e con un testo curatissimo, è diretto abilmente e con equilibrio dal regista Gabriele Marchesini. Con lui e con Alessio Boni abbiamo analizzato lo spettacolo e il personaggio di Michelangelo Merisi da Caravaggio.

 

Parliamo della mimesi dell’attore nel personaggio.

alessio-boni (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Alessio Boni: «Orazio Costa, io vengo dal suo metodo, parte da là, da lontano: entrare e cercare di compenetrarti in quel personaggio che hai scelto; quindi scartabelli se è un personaggio realmente esistito oppure, se è un personaggio scaturito dalla penna di un sceneggiatore nuovo, immagini quello che può leggere, che gli piace, di chi si può innamorare e tutto quanto. È uno studio profondo nei confronti di un personaggio che devi amare, a volte, pure più di te stesso. Questa è la mimesi».

C’è un rapporto strettissimo che unisce l’opera del pittore e lo sguardo dello spettatore che osserva il quadro. Dove si colloca l’attore che interpreta il pittore, in questo rapporto tra dipinto e osservatore?

A.B.: «Dietro. Dietro la tela, assolutamente: è come se ci fosse un occhio. L’attore si colloca dietro al pittore e tutto quanto: deve vedere tutto e controllare tutta quella situazione».

Caravaggio prendeva come modelli persone comuni, spesso dai bassifondi. Secondo te il suo interesse per la raffigurazione della figura umana era dato da un approccio distaccato e quasi scientifico dello studio del corpo umano oppure a lui interessava il genere umano da un punto di vista più filosofico e psicologico?

A.B.: «Assolutamente il secondo, lo sai anche tu, è tautologico! Lui aveva proprio voglia di sentire la prostituta che con aureola o senza aureola diventava la “Madonna dei Pellegrini”: era la veridicità del momento che viveva che gli interessava. Lo interessava proprio quello che pensava, che ne so, l’oste in quel momento e come lo raffigurava perché c’era dietro a tutti i geroglifici di un volto una sofferenza che lo faceva restare senza fiato. Gli altri lo interessavano di meno».

Il prof. Sgarbi dice che, concettualmente, le opere di Caravaggio sono molto fotografiche perché lui sfruttando anche la tecnica del colpo d’occhio, dell’istantanea, non solo si contrappone alla pittura idealizzata, ma raffigura la realtà così com’è, senza false ipocrisie, che questo è il motivo per cui all’epoca molte opere gli furono rifiutate, stesso motivo per cui noi oggi invece le apprezziamo. Dice inoltre che Caravaggio è in qualche modo un antesignano di Pasolini poiché, come uomini, entrambi si dividevano tra alto lirismo, vivacità intellettuale e frequentazione di umili ed emarginati che riproponevano nelle loro opere, mettendo il popolo davanti ai potenti e che forse non è un caso che la prima grande mostra su Caravaggio, che era stato dimenticato per secoli, sia dei primi anni ’50, nel periodo post fascista delle prime lotte di classe.

A.B.: «Sgarbi ne sa molto più di me e ha ragionissima. Anche io l’ho accostato a Pasolini e ritengo che la cosa veramente interessante sia l’alto genio, l’alto lirismo, l’ispirazione e il proletariato, quello che cercava Pasolini nei sobborghi di Roma. La media borghesia, il “pulitino”, il tutto “per benino”, intrigano di meno. Sono davvero d’accordo: lui era un genio straordinario, anticipava di centinaia di anni quello che hanno poi capito i “comuni mortali”. Stava con le prostitute, gli omosessuali, i più negletti dei bassifondi della Roma della fine del ‘500, che erano molto più bassifondi di adesso: probabilmente trovava molta più veridicità là, che non nell’ambiente affettato delle ville, del Del Monte o degli ecclesiastici».

Lui aveva un “atteggiamento” molto teatrale.

A.B.: «È vero, secondo me poteva essere anche un cineasta».

marchesinigabrie (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Lui si costruiva queste strutture con giochi di lucernai e c’è spesso questo drappo rosso. Quindi c’è il rapporto tra il “qui e ora” del teatro e l’immagine che viene fissata e catturata come in un’istantanea.

Gabriele Marchesini: «È verissimo questo. Tra l’altro Caravaggio stesso si era dipinto la parete di nero e faceva filtrare la luce in una certa maniera, attraverso queste feritoie; aveva una tenda dietro alla quale c’erano due pareti ad angolo retto, nere. Poi aveva delle corde a cui appendeva alcuni elementi e li esponeva a questi tagli di luce proprio per evidenziare i contrasto. D’altronde si tratta di un pittore assolutamente rivoluzionario, lei pensi che la “Morte della Vergine” era una prostituta annegata davvero nel fiume: aveva questa crudezza estrema nel proporre anche gli argomenti sacri».

Nello spettacolo il commento musicale è di ispirazione jazz. Come mai questo linguaggio musicale per accompagnare Caravaggio?

A.B.: «È stata un’idea che è venuta a Fabrizio Sirotti: secondo lui l’improvvisazione jazz corrisponde tantissimo all’anima “saltellante” e febbricitante di Michelangelo Merisi da Caravaggio».

Caravaggio- Nero d’avorio (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

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