NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

“Vi spiego la mia Medea”

Intervista a Emma Dante, regista dello spettacolo andato in scena all’Olimpico, una pièce di grande impatto emotivo. “In questo teatro quando va in scena una rappresentazione è come ci fosse una preghiera in corso”

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

facebookStampa la pagina invia la pagina

“Vi spiego la mia Medea”

Questa settimana al Teatro Olimpico è andata in scena la tragedia “Medea”, tratta da Euripide, riscritta dalla regista Emma Dante. Prodotta dalla Compagnia Sud Costa Occidentale da lei fondata, la pièce è molto potente sia dal punto visivo che interpretativo, è amaramente ironica a cominciare dalle corifee interpretate da uomini. Il pubblico dell’Olimpico ha apprezzato molto lo spettacolo tributando gli attori, il duo di musicisti Fratelli Mancuso e la stessa regista, spesso contestata per via del suo teatro dalla fisicità molto spettacolare. Il personaggio di Medea è interpretato da Elena Borgogni.

All’inizio vediamo le corifee, 5 donne di Corinto. Ai due estremi ci sono Mariarca e Giuseppina, napoletane, le altre in mezzo sono siciliane. Sono vestite di nero e parlano tra di loro. L’interazione nel gruppo è identica alla scena del rosario e a quella delle ingiurie de “La gatta cenerentola” nella ricostruzione di Roberto De Simone. È un’impressione corretta?

“Vi spiego la mia Medea” (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Emma Dante: «Sì è vero ma non ci avevo pensato. Il mondo è quello, la radice e la tradizione parte da lì per cui è bello questo parallelismo con “La gatta cenerentola”».

Poi loro sono en travestì ma è un ideale femminile trasversale.

«Si infatti non sono dei travestiti, è proprio una femminilità “altra”, non c’è nessuna messa in scena di una omosessualità, anche perché poi è filologica l’impostazione: c’erano gli uomini a vestire i panni delle donne per cui è una cosa abbastanza naturale. Il pubblico infatti ci sta».

“Vi spiego la mia Medea” (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Giuseppina dice che il suo sogno finisce con lei e Medea, entrambe incinte, che si guardano. Mariarca le rimprovera che ha confuso sogno con realtà perché Medea è incinta, lei no. Ho avuto l’impressione che quello della follia di Medea sia un percorso che scenicamente comincia appunto da queste premesse: non è nella storia che si confondono sogno e realtà ma in Medea stessa. Medea è pazza, e sembra esserne cosciente. Come sei riuscita a reggere tutta la storia con la protagonista in bilico lungo un corto circuito continuo?

«In realtà non mi sono tanto preoccupata di essere davanti a questo baratro, perché effettivamente è un gioco pericoloso quello che facciamo in scena, però è un gioco dichiarato: tutti gli elementi sono artificiosi, tutto è nella testa di Medea e questo è abbastanza interessante perché racconta la follia di una donna che diventa pazza quando il marito la lascia nel momento più importante della sua vita, in cui deve essere accompagnata nella nascita di un figlio. Per cui tutti gli elementi che sono in scena, dal cuscino che lei si toglie alla coperta che diventa bambino, sono dichiaratamente giocosi per abbassare anche la tragedia: stiamo giocando con questo mito ma cerchiamo di non farci troppo del male, usiamolo per riflettere sulle nostre vite. Poi la tragedia greca aveva anche una funzione catartica e metterci davanti ai lati peggiori anche per migliorare e quindi ci purificavano. Questo baratro e corto circuito è tenuto a distanza da questo accordo che gli attori fanno col pubblico, di usare la tragedia per giocare un gioco sicuramente alto ma rimanendo sempre nella vita e nella possibilità»

Medea sul suo costume ha disegnati, all’altezza del seno, due rubinetti rossi da cui fuoriescono lungo l’abito dei fili colorati. Puoi spiegarci cosa rappresenta questa immagine?

«Questo è un vestito che mi piaceva molto perché mi fa pensare a un clown: questi rubinetti che sgorgano colore stampati su un abito nero a lutto. Mi faceva pensare al lutto di questo paese in cui sono sempre tutti in nero. A un certo punto lei si trucca da clown, quando arriva Giasone, o si mette le scarpe rosse sbrilluccicanti perché lei quando si deve mettere in relazione col mondo maschile diventa eccentrica e si traveste: lei si che è en travestì in quel caso, perché pensa che quando si deve trattare col potere bisogna essere in qualche modo pacchiani, spettacolari e volgari. Lei si mette al servizio di questi teatrini così clowneschi per poi raggiungere il suo scopo. Per cui questo vestito ha questi due elementi del lutto con queste stelle filanti».

Ma lo hai fatto fare o lo hai trovato da qualche parte?

«Era un vestito di mia madre, che non c’è più».

Quindi ha anche un significato personale.

«Sì».

continua »

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar