NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Con il trucco Solenghi invecchia di 5 secoli

L’attore, trasformato in un contadino del ‘500, è stato l’apprezzato protagonista dello spettacolo di apertura della stagione di prosa di Thiene e grazie, e grazie alla “Moscheta” il tetaro è tornato “popolare”

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Con il trucco Solenghi invecchia di 5 secoli

La stagione della prosa di Thiene si è aperta questa settimana con lo spettacolo “Moscheta” di Angelo Beolco, più noto con il nome di Ruzante. L’ambientazione popolare e l’atmosfera, resa molto bene da una scenografia e un trucco davvero ricercatissimi, valorizzano una commedia degli equivoci veloce che ha divertito molto il pubblico. Protagonista della pièce, scritta del celebre autore veneto tra il 1527 e il 1531, è Tullio Solenghi, che abbiamo incontrato nell’intervista che segue.

La prima cosa che si nota in questo spettacolo è la trasformazione profonda alla quale il regista vi sottopone grazie al trucco e alla prostetica. Ci può spiegare questa scelta?

Con il trucco Solenghi invecchia di 5 secoli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Tullio Solenghi: «È una scelta che è alla base del teatro, che è una realtà che deve essere completamente disancorata da quella in cui ognuno di noi è prima di salire sul palcoscenico; il trucco e il costume del personaggio aiutano a fare questa sorta di transfert che tu hai quando sei in scena e vivi un’altra vita. Avendo noi delle fisionomie di persone del XXI secolo, la postura, il trucco aiutano a trasportarsi nei contadini di 5 secoli fa».

Nella prima parte dello spettacolo vediamo come i personaggi siano illuminati con l’occhio di bue in stile varietà o vaudeville. Il teatro popolare del periodo del Beolco si contrapponeva al teatro colto e sfarzoso delle corti che serviva a glorificare la potenza del principe o del re e di cui solo i nobili delle corti usufruivano. Secondo lei quali sono le similitudini tra il teatro popolare del ‘500 e quello di oggi e il valore sociale?

«Oggi non direi che c’è un teatro popolare, oggi c’è un teatro forse di matrice più televisiva. Di sicuro il cabaret è diventato una forma di teatro a dimensione molto zapping, televisiva: storie brevi, battute, spesso anche un po’ di volgarità. Adesso il web ha evidenziato ancora di più questo: il cabaret, la caricatura, l’imitazione hanno preso un po’ il posto del teatro di una volta, perché sono quelli più facilmente riconoscibili dalle persone; quando vai al bar la mattina senti parlare dell’imitazione di Crozza o dello sketch di Zelig. Il teatro oggi o recupera i classici oppure ha anche testi di attualità, ma è difficile che abbia questa impronta popolare, il pubblico è sempre medio alto come età. Questo impatto sui giovani, questo fatto di essere vissuto e parlato tutti i giorni, non ce l’ha più, questa funzione, il teatro».

Con il trucco Solenghi invecchia di 5 secoli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

Ruzante fu uno di quegli autori che spesso scrivevano appositamente per determinati attori. Non essendoci documentazione come foto e video riguardo alla recitazione e alla regia dell’epoca, come ci si confronta con testi strutturati per un tipo di performance che non può essere verificata?

«Io credo che soprattutto si debba partire dal testo, immaginare che comunque allora rappresentava la storia di tutti i giorni. Il testo, secondo me, offre veramente la possibilità di immedesimarsi nei personaggi. Ci sono poche note di regia perché chiaramente era un teatro molto recitato e scritto in scena, non preparato prima scientificamente a tavolino. Magari alcune scene sono state aggiunte dopo con gli attori, che erano i mostri sacri di allora a cui veniva affidata la commedia, magari c’era una partitura che veniva ampliata andando in scena. Di fatto, lui ha molto questo riferimento al pubblico: tutti i personaggi, a parte Betìa, si rivolgono molto al pubblico, allora questa cosa qui dà anche un po’ la matrice interpretativa».

Parlare di teatro del ‘500 vuol dire anche tenere conto dello spazio scenico in cui venivano allestiti gli spettacoli, spesso palazzi, piazze o corti. Rappresentare un testo del ‘500 in uno spazio teatrale contemporaneo permette di arricchire l’esperienza sia per voi attori che per il pubblico, oppure il testo non risente delle scelte relative all’allestimento?

«Diciamo che il testo di sicuro è un canovaccio rappresentabile ovunque. Ruzante ha lasciato delle note di quando doveva andare a fare questo spettacolo alla corte degli Estensi a Ferrara: sappiamo quanto ci metteva a rimetterlo in scena. Diceva: “Arriverò col barcone sul Po, mi serviranno 8 giorni per riallestirlo, per le scenografie mi fido di messer Ludovico”. Messer Ludovico era Ludovico Ariosto. Quindi, presumibilmente, Ariosto gli dava una cornice neoclassica all’interno della quale lui agiva con i sui trucchi eccetera. Noi abbiamo fatto un po’questo: cercare di andare verso i personaggi senza fare una scenografia più metafisica, una bella scenografia ruspante, come la è la storia».

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