NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Rumiz e Gerusalemme tra suoni e silenzi

Presentato al Comunale come anteprima del Festival Biblico “Gerusalemme Perduta” il viaggio del giornalista passa dalla realtà alla scena

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Rumiz e Gerusalemme tra suoni e silenzi

Rumiz e Gerusalemme tra suoni e silenzi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La settimana scorsa al Comunale di Vicenza è andato in scena lo spettacolo in forma di reading con accompagnamento musicale e coreografico “Gerusalemme perduta”, tratto dal libro omonimo di Paolo Rumiz, giornalista di La Repubblica. Lo spettacolo è stato proposto come anteprima del Festival Biblico che si terrà a maggio. Corrispondente di guerra dalla Bosnia e dall’Afghanistan, Rumiz da circa 10 anni effettua delle spedizioni giornalistiche in tutto il mondo accompagnandosi con artisti e intellettuali come Marco Paolini, Moni Ovadia e la fotoreporter Monika Bulaj. “Gerusalemme Perduta” è uno racconto-percorso non solo geografico, ma soprattutto culturale di abitudini, usi, costumi, ma soprattutto un viaggio sonoro, tra suoni e silenzi da Torino a Gerusalemme. La voce narrante in questo caso è stata affidata al regista dello spettacolo, Graziano Piazza. Sul palco, a ricreare le sensazioni di quell’esperienza ci sono una danzatrice- cantante e un gruppo di musicisti. Abbiamo incontrato il giornalista e scrittore per parlare dello spettacolo e dei suoi viaggi.

 

La struttura dello spettacolo: come lo avete messo insieme e come avete scelto le musiche, le coreografie, l’utilizzo della voce narrante?

Rumiz e Gerusalemme tra suoni e silenzi (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Paolo Rumiz: «La voce non è la mia, ma è quella di Graziano Piazza, io faccio semplicemente un’introduzione iniziale anche se è vero che questo spettacolo l’ho già proposto in scena da più parti, però devo dire che per la prima volta mi piace l’idea di sedermi in platea e riguardare la cosa da fuori. È stata abbastanza naturale questa messa in scena perché alla fine mi sono reso conto che questa mia esperienza nei luoghi e nelle persone della Terra Santa è stata una grande esperienza di tipo sonoro, cioè ho introitato una serie di suoni, di canti, di litanie, di rumori, di bisbiglii e di echi che alla fine hanno costruito una grande orchestrazione e questa orchestrazione abbiamo tentato di riprodurla».

Perché hai scelto proprio quel viaggio e non un altro da raccontare al pubblico dei teatri, visto che sei stato corrispondente in tanti posti?

«Perché me l’hanno chiesto! Chi scrive spesso dipende dal committente: mi è stata proposta questa cosa e ho accettato proprio perché avevo questa percezione, che quel tipo di lavoro non mi sarebbe stato difficile da tradurre scenicamente, proprio perché c’era un gioco di sponda tra la voce e la parola che era molto naturale per cui non c’è stato problema. Poi io venivo fuori anche da una grandissima esperienza da questo punto di vista che era quella della messa in scena de “La cotogna di Istanbul, un mio libro in versi con il quale ho fatto la stesa esperienza, musica e parole, e quindi ero abbastanza attrezzato».

In tutti i territori che hai visitato, sicuramente non ci sono solo le religioni principali, ma anche confessioni che comunque derivano dalle tre monoteistiche; i contesti sociali e culturali sono diversissimi, non solo dai nostri, ma anche tra loro. I testi sacri e la loro interpretazione sono ancora condizionanti nella vita quotidiana di tutti i popoli che hai incontrato?

«Mah, io non sono andato dietro ai testi scritti, io sono andato in cerca dell’oralità, che è un fenomeno molto legato al sacro che è un elemento insondabile e che spessissimo ha molto poco a che fare con la fede e la religione: il sacro è un elemento oscuro che vive nella penombra e che si alimenta dell’eco delle cripte, delle navate e delle moschee; il sacro è qualcosa che abita gli spazi vuoti come una cassa armonica».

L’esperienza del viaggio privato e quella del viaggio per le corrispondenze giornalistiche si influenzano a vicenda nell’osservazione delle cose e nel modo di percepirle e viverle?

«Direi proprio di si, se io non avessi una spinta personale e una serie di motivi miei a partire, non lo farei mai solo perché mi viene chiesto di farlo. Tutti questi viaggi sono nati da un impulso intimo e profondo, non solo dal fatto che c’era un giornale che mi chiedeva di farlo. Certo, il giornale doveva accettare o meno quello che gli proponevo, ma sempre, a monte, c’era un forte desiderio di andare in una certa direzione sulla strada di una ricerca personale».

Rumiz e Gerusalemme tra suoni e silenzi (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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