NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Faccia a faccia con gli animali selvatici

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Faccia a faccia con gli animali selvatici

Ma torniamo al primissimo tema toccato, quello della prudenza e della prevenzione sanitaria: è un pericolo lasciare che un’area popolata da nutrie e topi resti avvicinabile da parte di chi va a Parco Querini con riferimento particolare ai bambini?

maurizio poli (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)MAURIZIO POLI- È chiaro che le nutrie qualche preoccupazione la danno, sono roditori e quindi il rischio concreto c’è a parte dei danni dal punto di vista fisico del territorio, delle colture, ecc. Dal punto di vista sanitario trattandosi di una popolazione che tende ad ingigantirsi soprattutto parlando di leptospirosi una preoccupazione può esserci e non necessariamente legata ad un contatto diretto; è una malattia che può essere trasmessa ance in modo indiretto per contatto con le acque; alcune specie non soffrono affatto di questo contatto, altri sì e tra questi ci siamo anche noi che al toccare pozzanghere o acqua stagnante, abbeveratoi eccetera possiamo incorrere in questo inconveniente. La nutria non è ancora bene inquadrata ma può essere che incorra in queste coincidenze anche perché frequenta più o meno lo stesso ambiente dei topi, delle pantegane e di tutto quanto si tirano dietro. In più c’è la capacità riproduttiva: 2,5 nidiate all’anno, quindi una forte capacità.

FRANCESCO ZANOTTO- Parlando dell’acqua del fosso attorno al tempietto dove il documentario ci ha presentato nutrie, tartarughe e altri animali, bisogna dire che c’è anche del pesce e si tratta naturalmente si specie che stanno benissimo anche in acque non propriamente pulite od ossigenate: resistono benissimo a carenza di ossigeno la carpa, la tinca, la scardola, il pesce gatto sono tutte specie che possono vivere a lungo fuori dall’acqua se sono tenute in un ambiente umido. È una condizione limite presente in questo ambiente ricco di nutrienti come un’acqua di questo genere. Le specie di Parco Quercini sono quelle che ho citato. A queste si aggiungono purtroppo specie aggiunte di recente come la pseudorasbora. Per fortuna nella zona non c’è ancora il siluro che invece nel Bacchiglione c’è. Poi ad esempio c’è la tartaruga a guance rosse che è stata immessa per liberare le case. Dopo un po’ di tempo cresce e puzza. C’è una scarsa educazione in questo senso: anziché restituire al venditore si preferisce liberarla. Ma se sopravvive non gli si fa un piacere perché si inserisce un in ecosistema che non è il suo, non ha predatori ed è avvantaggiato da questa situazione. Questa tartaruga, molto più aggressiva, ha fatto praticamente scomparire la tartaruga nostrana anche perché è più rapida. Incominciamo a trovare queste tartarughe molto più diffuse sul territorio. Tempo fa in quello stesso specchio d’acqua avevamo provveduto a recuperare la fauna ittica presente e a trasferirla opportunamente, dopo di che avevamo ripopolato l’ambiente in modo equilibrato. Le tartarughe erano state tutte portate in un parco zoo e sistemate. Dopo di che siamo tornati al punto di partenza perché non tutte erano state recuperate in quel periodo di lavoro e poi hanno ricolonizzato quelle stesse acque. L’incidenza di questo comportamento da parte della gente è forte. Stesso discorso per i conigli, le anatre e tutto quanto si trova oggi al Parco che vive invasioni successive di specie non locali che poi si moltiplicano e si diffondono. Nel posteggio dell’ospedale di prima mattina c’è un’intera popolazione che pascola in libertà e se ne torna poi al punto di partenza quando il traffico comincia a farsi intenso.

GIANCARLO BONAVIGO- Presumo che la presenza di galline significhi che qualcuno le nutre perché non tutto il periodo dell’anno i polli sono in grado di nutrirsi con quello che trovano nel parco. Ecco perché c’è la presenza dei roditori che sono opportunisti e trovano una condizione ottimale, le granaglie le gradiscono molto e la loro presenza aumenta sempre. Il problema dei roditori andrebbe risolto anche con delle rateizzazioni robuste perché è un luogo frequentato da bambini per cui le implicazioni sono immediate ed evidenti. All’epoca, quindici anni fa avevamo iniziato un progetto di eliminazione delle nutrie. L’esperienza anche se è servito quel periodo ci dice che la presenza di questa specie non permette più di parlare di radicamento. Oggi parliamo di contenimento. La nutria finirà che dobbiamo accettarla facendo il possibile perché la sua presenza sia più ridotta. Oltre ai danni immediati alle colture che vengono distrutte salvo non siano protette in modo molto efficace. Oggi sono coinvolti gli agricoltori, ma la nutria c’è e resterà perché la sua consistenza è così forte che eliminarle non è possibile e certo non ci possono riuscire i cacciatori. Le cose che si fanno in campagna in città non si possono fare sia abbattimento o gabbie/trappola. Così il fenomeno si amplia ulteriormente.

FERRON GIANCARLO (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)GIANCARLO FERRON- Gli animali a Parco Quercini sono segno di una cattiva educazione delle persone rispetto a tutti gli animali quasi che quelli da compagnia fossero dei giocattoli. Quando sporcano ce ne sbarazziamo. I selvatici sono altra cosa e bisogna conoscerli di più. Sarebbe corretto che almeno le basi fossero alla portata di tutti. In Germania e in Francia si sa riconoscere un faggio da un tiglio o un capriolo da un cervo. È un modo per condividere certe conoscenze. Gli animali si spostano. Quelli che arrivano in città non sono fenomeni e nemmeno animali di montagna. Siamo noi che li abbiamo spinti in montagna dove peraltro un capriolo vive malissimo nella neve perché ha zampette sottili e dentro 40 centimetri è in difficoltà. In montagna l’ambiente è già cambiato per l’abbandono dell’uomo, dove il confine tra non abitato e deserto di pascolo non c’è praticamente più. Il capriolo segue questi cambiamenti tanto che c’è stato un boom demografico ora stabilizzato. È un cambiamento che ora colonizza spazi molto piccoli vicino a noi, sull’argine dei fiumi o in boschetti. La stabilizzazione verrà quando i comportamenti territoriali si saranno stabilizzati perché via via vengono colonizzati nuovi territori per quanto ridotti. Quel che succede oggi in città dipende dal fatto che lo spostamento degli animali coinvolge percorsi magari obbligati da recinzioni o altro finché succede che un capriolo arriva in Campo Marzo o in Piazza Matteotti. Lo stesso discorso vale per l’orso. In Trentino è già successo e sappiamo che c’è da distinguere tra introduzione e reintroduzione sulla base di studi storici precisi, sul fatto che la presenza di una certa specie era un fatto naturale e con metodi scientifici si procede. Il che non impedisce a un orso di partire dalla Slovenia da solo e attraversando Friuli e Veneto si spinga fin sull’Altopiano o in Val d’Adige. È successo nel caso dell’orso Dino. Non è vero che è stato abbattuto qui da noi, ci sono le prove che è tornato da dove era venuto, proprio in Slovenia. Stesso discorso del resto va fatto per il lupo perché al massimo tra una decina di anni ci arriveremo magari sull’altopiano di Asiago; due anni fa un animale trovato semiputrefatto trovato nel Trentino ha rivelato le caratteristiche del lupo così come vari reperti organici hanno rivelato che i lupi appenninici e quelli balcanici si stanno incontrando proprio lì. Lo sciacallo dorato e il cane procione stanno facendo gli stessi percorsi dall’Est nonostante le nostre modifiche del territorio. Gli spazi per le loro migrazioni e colonizzazioni li trovano sempre per quanto siano ridotti. A noi spetta capire e assecondare ma in termini scientifici di conoscenza, non procedendo a occhio, a sensazioni…

Faccia a faccia con gli animali selvatici (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

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